di Alberto Rapisarda
Premessa
Il caro amico Roberto Carubbi m’ha chiesto di scrivere le mie memorie su Andrea Pazienza.
Robbè sostiene, credo soprattutto per il fatto che io, Paz e Baldazzi realizzammo un lungo fumetto assieme, che i ricordi che ho di quegli anni siano sterminati.
In realtà ho dovuto prepararmi. Sono andato nello studio dove conservo archivi, quelli si, sterminati, di disegni, scritti, appunti, illustrazioni, fumetti su fumetti, e lì in mezzo comincio a selezionare una particolare categoria di documenti: gli appunti del Corso Zio Feininger.
Vari motivi - soprattutto il fatto che nelle stesse pagine in cui prendevo nota di ciò che dicevano gli insegnanti ci sono molti miei disegni estemporanei -, mi portarono ad un certo punto della vita a scorporare dal quadernone da scolaretto del 1983/84 [e segg.] tutte le pagine che stavano a maggior diritto tra le raccolte dei miei schizzi & studi - quel tipo di cose che un fumettista usa per allenarsi all’opera vera e propria, e che per qualche motivo diventano importanti anche in altri momenti, diversi dalla realizzazione della storia a cui servivano [vedasi gli “scrigni del tesoro” di Magnus].
Tutto questo ben di Dio – tolto dal quaderno, archiviato su raccoglitori, ricostruito per l’occasione - ha causato un gran disordine in casa mia, ma forse un minimo d’approccio logico, alle memorie che Roberto mi chiede, l’ho impostato.
Nota essenziale prima di partire: molte delle cose che ho conservato dalle lezioni di Pazienza sono timidi tentativi di ricopiare in tempo reale quello che il nostro dotatissimo insegnante disegnava [dipingeva? fumettava?] sulla lavagna. Non chiedete dove sono quei suoi disegni – lo sa mister cancellino - a scuola le cose vanno così. E pure non chiedete a me di pubblicare qui quelle incerte scopiazzature: non va così il mondo.
Bache secche
Non ricordo nulla del primo giorno in cui APaz si presentò in aula. Già l’avevo incontrato in giro per Bologna, così forse non era un momento così importante per me, anche tenendo conto che amava circondarsi di Tossici, Katane & Armature da Kendo, Fratelli Michele [quello-piccolo-e-tarchiato], ‘Nik’ Corona, Cinture Borchiate, Spifferi d’Aria Tra I Capelli, Corsiste Aspiranti Fumettisti, Sacchi Pieni d’Armi [giocattolo], Mazzi di Chiavi dell’Alfa 33 Targata FG, Bustine…
Insomma, noi Bache Secche lo consideravamo un puerile esibizionista, che, come i Beatles nei pressi del loro scioglimento, si ravvivava[no] solo alle prese con l’ARTE.
E’ssi. Di questo devo dargli ancora oggi tutta la mia fiducia. Era un grande fumettista, e un bravissimo divulgatore di questa pratica così faticosa, fanfarona e fascinosa.
Già si disse, parlando della divisione delle materie nel Centro d’Arti Applicate Zio Feininger, che Apaz insegnava davvero il Fumetto: come si fa un fumetto, la sceneggiatura, e poi il layout, e ci mettete le onomatopee, le rifinite, e incollate le peccette, le peccette di Magnus. Era un vero fumettista.
Altro discorso per i cinque Valvoliniani [più Miglioli - ed altri che vennero].
Semmai erano manager, pittori accademici, semiologhi - ma autori di fumetti, hum… A Carpinteri soltanto riconobbi sempre lo status di fumettista [cioè, lui era un vero autore di fumetti, quelli veri, quelli tipo “faccio Topolino”], perché, bazzicando casa sua, scoprii la mitica libreria gigante su due mandate a coprire la parete più estesa del salotto, zeppa di fumetti – sapete quelle cose tipo Swamp Thing di Wrightson in lingua? Nulla a che vedere con Mishima edizione Guanda su carta prestige, o tutto Macluhan magari mai scartato dal cellophane. Sono cose che fanno la differenza, già…
Pazienza invece era un abile millantatore, al contrario: faceva credere di essere pittore [e il dadaismo, e Tristan Tzara, e due scatole], ripeteva che Frigidaire, la rivista più importante del decennio, era anche sua, sua proprietà, suoi i tocchi di genio, sua la grafica d’un fracco di cose. Poi parlava da pari coi politici, coi letterati colti, coi registi dalla vocina fina, coi terroristi, persino con i Presidenti Partigiani. Sembrava che la sua arte fumettistica fosse qualcosa da snob, che buttava lì tra un ricevimento a Palazzo Madama e le frequentazioni dei salotti romani di Elsa Morante. Un poliedrico, concesso, prestato, degnatosi all’arte dei baloon. Se ci siete cascati, magari plagiati da qualche editoriale Frigidairano di Vincenzo Sparagna, o dell’altro, l’amico Bussotti, be’, le cose non stavano affatto così.
Paz divorava Jacovitti, Kit Carson, Paperino e Satanik. Poi anche Crumb, certo. Ma egli era – si ricordi ora e sempre – un disegnatore di storielle con baloon: I FUMETTI.
Ed i fumetti perciò insegnava col rigore di colui che spiega tutte le fasi che devi metterti in testa se vuoi diventare non dico qualcuno, ma almeno un Bonelliano da fill-in – anche lì la sua disciplina era servita, Pazienza era servito. Molti [pochi] sono lì: a fare i fill-in per Tex.
Ma Apaz non si rassegnava. Tirava due sciabolate con la spada giapponese portata da casa – il che lo metteva sempre nella pericolosa condizione del fermo di Polizia & notte in guardina [avete presente cos’era Bologna nel 1983???], poi passava tra i banchi a sbirciare le calze di nylon delle corsiste, ancora salutava “Marcellino” [“pane e vino”], poi prendeva una boccata d’aria… poi, se al bar era già andato [“regaz, da l’altroieri non mangio”], iniziava la lezione sui fumetti.
La prima fase – come vedremo – ovvero la sceneggiatura, non era così prioritaria per la mente raffinata di Pazienza. Decise di cominciare dal TITOLO. Diede dei titoli, o in alternativa dei dettagli dettagliatissimi. Fondamentale era che noi bache secche portassimo “la prossima settimana, se ci sono ancora, regaz” delle stupefacenti copertine di queste storie inesistenti, con personaggi inesistenti, il tutto campato in aria.
“Rapisarda” a questo punto torna a vagare nei vacui abissi della dimenticanza, sennò v’avrebbe citato il lunghissimo titolo in cui c’entravano belle more, baci gelidi come serpi e tant’altro, a mettere assieme una poesiola su quattro righe che ho sempre sospettato avesse rubato [ignorante io] da qualche simbolista francese - e sei protagonista!!
Io comunque lavorai sodo tutta la settimana tra la lezione di dispense e quella di consegna. Analogamente al Maestro, saccheggiai la mia libreria casalinga, fotografie, cartoline, fumetti di Paperino [pure io], stampe ottocentesche, I Popoli del Mondo De Agostani - era fatta!
Arrivo orgogliosissimo alla lezione successiva, con una tavola orizzontale [tipo le copertine del “Topolino D’Oro” che leggevo nei miei anni di bimbetto] il cui titolo era – per tutti gli alunni – “Mario Carotenuto e lo strano caso delle gemelle siamesi”.
La mia era composta di piramidi Atzeche, di statuette antiche [gemelle, appunto], di cattivissimi dai denti da vampiro, d’investigatori Scherlocchi, insomma: Barks, Barks, Barks.
Paz la vide, storse un po’ il naso, forse si pentì [del naso]… poi, da amicone, commenta: “Ah, Walt Disney?” Io raggelai: “Barks! Carl Barks.”. Lui scatta disinvolto alla prossima scaracchia della prossima baca secca.
Insomma, le cose andarono in quel modo per un po’ di settimane. Copertine su copertine, sullo scibile umano ed extra-umano. Gli piacque una mia veduta da un castello Cecoslovacco [interno], con panorama dalla finestra pietrosa che sfumava nella mia abile tecnica d’acquarello [“come l’hai fatta? bella!”, io: “mah, schizzi che ho preso ‘en plain air’ durante un viaggio” – mentivo, ricalcavo, mentivo]. Sputacchiò su qualche mio – e d’altri – tentativo di “rifarlo” [l’omino col nasone alla Pazienza, l’omino con i ricci alla Pazienza, canne ovunque]. Finché il temino della settimana fu “una landa desolata, con un tronco abbattuto ove si posa un corvo cupo, come cupo è un albero senza foglie ma con ramificazioni contorte ed inquiete, e nebbie e nebbie, e un sole che tramonta nella foschia, e prospettive al nulla, al nulla dell’anima”. Gothic?
Al “Disco D’Oro” imperversava “Pornography” dei Cure, e quella era la nebbia delle anime desolate di questa città desolata.
A casa mia il piatto girava, ripeteva “The Hanging Garden” ad-libitum, la mia sofferenza di ventenne maudì viveva un’epifania: a chi servivano le foto e la documentazione?
La volta successiva Pazienza girava i banchi tra uno scaracchio e l’altro, e capitò da me. Disse “uhm”. Prese il disegno e lo portò in cattedra: “Così, regaz, si fanno le cose, queste prospettive verso il nulla, l’albero contorto di Biancaneve, il corvo di Edgard Allan Poe, questa tristezza, questo soffrire”.
Io continuavo – ehm – a prendere appunti. Perso qualche elogio, ero arrivato al punto in cui tutto assomigliava ai malinconici quadri di Caspar David Friedrich “che trovate in piccole edizioni economiche nei cestoni su marciapiede della libreria di via Irnerio all’angolo con via Mascarella, regaz imparate da Rapisarda”. E da Friedrich.
Il giorno dopo ero in via Irnerio. Friedrich sapeva qualcosa di me che io non sapevo. Poi mi venne in mente che nei Classici Dell'Arte Rizzoli ci doveva essere un volume tutto su Friedrich, ed io a casa avevo la serie completa. Tornai a casa.
5 commenti:
thanks alla redaz per la sollecita pubblicazia
more thanks a Tania che è stata sù fino all'una di notte e che m'ha dato un po' di dritte per chiusure ed incisi (luvU)
il disegno di Paz è un inedito fatto su una pecetta durante il corso... lezione: come di fa un disegno su pecetta per correggere uno scaracchio
dovresti girare tutte le domande (ma sei paragnosta* ???) a carubbi, a breve qui con un anticipo del suo progetto
(* dimmi dove sei andato a scuola, nik)
noo anzi: chiedevo come fai a vedere le cose (tipo Paz all'autogrill che offre l'aperitivo alle ragazze)
conoscevo il mago dell'Arcella, sei tu?
Grazie Rapi, per aprire le finestre (della Memoria)ho bisogno di un solido muro che le contenga.
Vai di mattoni, cemento e cazzuola. Lascia i buchi per le finestre!
molto bello, mi ricorda i miei vent'anni, dove c'erano gli Smashing Pumpkins e Jeff Buckley... che brividi: credo di aver voglia di scrivere qualcosa del genere sul mio blog.
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