di Giorgio Franzaroli
Andrea Pazienza non aveva un metodo prestabilito di insegnamento, anzi, andava spesso a braccio.
Alcune volte credo che volesse stupire e basta. Come quando arrivò in aula con gli occhiali scuri (ma da vista) armato di katana, e incazzato disse che con noi voleva instaurare un rapporto zen fra maestro e allievo, cioè che se non avessimo fatto come diceva lui, ci avrebbe preso a bastonate. Ci fu silenzio, poi fra i banchi si levò l’allegro chiacchericcio divertito di noi, che avevamo capito che stava scherzando.
Però credo che Andrea non scherzasse affatto. Lui stava mettendo in pratica Kill Bill con vent’anni di anticipo. Andrea Pazienza era Hattori Hanzo, noi Uma Thurman, che invece di sfondare una tavola di legno a mani nude, dovevamo semplicemente riempirne una di carta, armati di pennarello. Altre volte ci metteva al lavoro con colla e forbici. Dovevamo inventare una sola vignetta, con sagome ricavate da cartoncino nero. L’unico intervento consentito con il pennarello era il lettering per la battuta. Non era una cosa buttata lì: Il risultato fu che alcuni pastrocchiarono scene incomprensibili, altri invece avevano realizzato delle vere e proprie gag autoconclusive, vignette con una battuta e via che sembravano fatte da Chiappori. Era il suo modo di scoprire chi aveva capacità di sintesi. Una volta ci disse "io faccio una sceneggiatura e voi la disegnate: la storia non la so, la facciamo adesso, partiamo dal titolo. IL MARE D’INVERNO! Come la canzone della Berté". E cominciò a disegnare a gessetti lo storyboard sulla lavagna, vignette su vignetta. Se avesse potuto asportare la grafite e stamparla su carta, sarebbe stata senz’altro una storia migliore di certe tavole pubblicate per inerzia. Era comica, demenziale e surreale: era la storia di uno sfigato succubo della madre, che è costretto a prendere un treno regionale solo per andare a vuotare la spazzatura dimenticata nella casa al mare. Frustrato dal treno e dalla madre, prende una barchetta per farci un giro senza saperla guidare e finisce in Yugoslavia. L’ultima persona ad averlo visto è una racchia bigotta che il protagonista prendeva per il culo durante il viaggio in treno, dicendole che stava andando a Saint Tropez. E mentre lui é prigioniero dei militari comunisti che lo credono una spia, le autorità italiane lo danno per morto perchè a Saint Tropez non c’è mai arrivato.
"Disegnai" la storia e chiesi ad Andrea se potevo pubblicarla sulla fanzine di Stefano Trentini, “Nuvola bianca”. Avendo di fronte a sé un ragazzino di 16 anni, mi disse che potevo farne quello che volevo. Chiaramente Trentini era molto contento di pubblicare una sceneggiatura inedita di Pazienza, anche se massacrata dai disegni di Giorgio Franzaroli. Siccome avevo già un po’ di senso del pudore, scrissi sotto al titolo “da un’idea di Andrea Pazienza”, così da scagionarlo da una sua involontaria (anche se consenziente) partecipazione alla mia iniziativa, e anche per evitare che il suo nome venisse citato sulla copertina in qualità di collaboratore attivo. Non so neanche se abbia mai visto un numero della rivista.
Se l’ ha fatto e non ha detto niente, vuol dire che era molto generoso.
Andrea Pazienza non aveva un metodo prestabilito di insegnamento, anzi, andava spesso a braccio.
Alcune volte credo che volesse stupire e basta. Come quando arrivò in aula con gli occhiali scuri (ma da vista) armato di katana, e incazzato disse che con noi voleva instaurare un rapporto zen fra maestro e allievo, cioè che se non avessimo fatto come diceva lui, ci avrebbe preso a bastonate. Ci fu silenzio, poi fra i banchi si levò l’allegro chiacchericcio divertito di noi, che avevamo capito che stava scherzando.
Però credo che Andrea non scherzasse affatto. Lui stava mettendo in pratica Kill Bill con vent’anni di anticipo. Andrea Pazienza era Hattori Hanzo, noi Uma Thurman, che invece di sfondare una tavola di legno a mani nude, dovevamo semplicemente riempirne una di carta, armati di pennarello. Altre volte ci metteva al lavoro con colla e forbici. Dovevamo inventare una sola vignetta, con sagome ricavate da cartoncino nero. L’unico intervento consentito con il pennarello era il lettering per la battuta. Non era una cosa buttata lì: Il risultato fu che alcuni pastrocchiarono scene incomprensibili, altri invece avevano realizzato delle vere e proprie gag autoconclusive, vignette con una battuta e via che sembravano fatte da Chiappori. Era il suo modo di scoprire chi aveva capacità di sintesi. Una volta ci disse "io faccio una sceneggiatura e voi la disegnate: la storia non la so, la facciamo adesso, partiamo dal titolo. IL MARE D’INVERNO! Come la canzone della Berté". E cominciò a disegnare a gessetti lo storyboard sulla lavagna, vignette su vignetta. Se avesse potuto asportare la grafite e stamparla su carta, sarebbe stata senz’altro una storia migliore di certe tavole pubblicate per inerzia. Era comica, demenziale e surreale: era la storia di uno sfigato succubo della madre, che è costretto a prendere un treno regionale solo per andare a vuotare la spazzatura dimenticata nella casa al mare. Frustrato dal treno e dalla madre, prende una barchetta per farci un giro senza saperla guidare e finisce in Yugoslavia. L’ultima persona ad averlo visto è una racchia bigotta che il protagonista prendeva per il culo durante il viaggio in treno, dicendole che stava andando a Saint Tropez. E mentre lui é prigioniero dei militari comunisti che lo credono una spia, le autorità italiane lo danno per morto perchè a Saint Tropez non c’è mai arrivato.
"Disegnai" la storia e chiesi ad Andrea se potevo pubblicarla sulla fanzine di Stefano Trentini, “Nuvola bianca”. Avendo di fronte a sé un ragazzino di 16 anni, mi disse che potevo farne quello che volevo. Chiaramente Trentini era molto contento di pubblicare una sceneggiatura inedita di Pazienza, anche se massacrata dai disegni di Giorgio Franzaroli. Siccome avevo già un po’ di senso del pudore, scrissi sotto al titolo “da un’idea di Andrea Pazienza”, così da scagionarlo da una sua involontaria (anche se consenziente) partecipazione alla mia iniziativa, e anche per evitare che il suo nome venisse citato sulla copertina in qualità di collaboratore attivo. Non so neanche se abbia mai visto un numero della rivista.
Se l’ ha fatto e non ha detto niente, vuol dire che era molto generoso.
5 commenti:
grazie per le precisazioni, Franz! dato che eri in una sezione diversa (ad esempio da me e Abald), molte cose che dici sono delle succose novità.
Con la Katana venne anche nel nostro corso, il che tuttavia mi mette in sospetto su quanto andasse a braccio, e quanto invece si preparasse e recitasse.
Gnao!
qui si può leggere tutta la storia?
per Franzaroli: tutte le tavole si possono mettere piccole qui (poi si ingrandiscono al click - come le due mezze presenti) ... io e Carubbi ci siamo pensando già, comunque, per una selezione di materiali più ampia, qui o su un sito web
Per chi volesse la versione su carta, STEFANO TRENTINI EDITORE dispone ancora dei vecchi numeri di NUVOLA BIANCA: vi sono pubblicati i primissimi lavori di Giuseppe Palumbo e di altri che poi hanno pubblicato su FRIGIDAIRE e altrove (come il giger-crumbiano Giacomo Carmagnola e il loustaliano GianFranco Vanni).
Sul n.3 c'è la citata "Il Mare d' inverno", su altri numeri compaiono lavori di Pazienza: sul n.6 troneggia una sua copertina, e sul n.1 c'è una strepitosa vignetta, poi fotocopiata malamente da Vincenzo Mollica e inclusa a forza nel bruttissimo "paz" della Einaudi.
Franz
Ciao Franz, il tuo articolo su Paz mi è piaciuto molto. E' scritto bene ed è interessante e coinvolgente.
Forse la storia del soggetto di Paz disegnato da te me l'avevi anche raccontata, ma forse non mi ricordavo bene.
Ciao, caro.
Alberto Magri
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