sabato, settembre 16, 2006

Il primo giorno di scuola di Andrea Pazienza – ultima parte


di Alberto Rapisarda

La Lavagna Sistina

Credo mi sia quasi impossibile mettere altri nella condizione, a parte quei cento detti e ridetti che parteciparono al primo anno di corso della scuola Zio Feininger, nella condizione, dicevo, di focalizzare come era davvero Andrea Pazienza docente. Egli, disordinatamente ed in clima di vacanze e cazzeggi [ben diverso dal nostro corso, serio e quasi d’accademiche pretese], diede un po’ di lezioni di fumetto anche alla Libera Università di Alcatraz, un posto ameno tra le colline Umbre, di proprietà di Jacopo Fo [che ne dirigeva anche tutta la struttura scolastica]. Qualche altra dozzina di persone l’ebbe dunque come insegnante, ma se vedete i filmini che furono girati ad Alcatraz su Paz, concordereste con lo scrivente: si trattava veramente d’un clima da villaggio turistico [ambiente in cui Pazienza avrebbe comunque primeggiato, ehehe].

Da noi NO! Nulla di tutto ciò.

Mi ci vorrebbe un attore a rappresentarlo, e solo allora – forse - ai molti che leggono questi ricordi, o quelli di altri corsisti, come Carubbi e Franzaroli, si leverebbe quel velo opaco che ci impedisce di spiegare come esso era…

Be’, dato che sto qui davanti al PC a scrivere di tutto ciò, ci devo ben provare, magari proprio con l’ausilio del paragone cinematografico. Già… nel suo libro su Pazienza, nella sezione centrale - un’ampia raccolta fotografica -, Giubilati definisce uno scatto per Frigidaire davvero come “cinematografico”. E si! Perché per Paz la fisicità era essenziale. Posava spesso e volentieri davanti alla macchina fotografica, ed anche alla cinepresa. Somigliava nei suoi sguardi cattivi, quando si illuminava di pensieri alla Zanardi, al Gian Maria Volontà gelido e sanguinario, come diretto da Sergio Leone - ma anche, nel suo nasone a patata [“questa specie di escrescenza”, diceva], e in tutti gli imbarazzi da studente foggiano fuoricorso, al Massimo Troisi “non immigrante, in vacanza!” - meridionale della costa opposta dell’Italia, ma uguali, i due [oltre alla vaga, ma non poi tanto, somiglianza fisica] anche nell’incapacità di parlare un italiano senza inflessioni, e perciò nell’essere prigionieri d’una macchietta a volte coltivata, troppo spesso rimasta appiccicata addosso senza volerlo

Per due/tre mesi Pazienza aveva insegnato con questi riferimenti involontari cuciti addosso. La fine dell’anno s’avvicinava, e lui sapeva benissimo – anche se partecipava sempre più spesso, e sempre volentieri, a comparsate televisive – che il suo modo d’essere personaggio sul palco dell’aula scolastica non aveva prodotto successo alcuno.

La gente lo fissava silente ed aspettava qualcosa. Nel suo essere misterioso ed evasivo, allora Paz si circondava d’ospiti [“regaz, questo è il mio carrrissimo amico Nicola Corona, detto Nik!”] che potevano legittimarlo capobanda da spaghetti-western.

Poi, per farsi perdonare le innocue malignità da rockstar, arrivava con le tavole del nuovo fumetto, “Lupi”, e con un pennarello coprente ritoccava qualche vignetta non ancora finita finita, o allo stadio delle matite. Si faceva così un po’ ammirare, come il ragazzino abile con le matite colorate alle medie od alle elementari, che tutti i suoi compagni idolatrano, ma, appena si spostano le luci dei riflettori, resta un “misfit”, un perdente della vita che si sfoga col disegno - qualcuno a cui forse nel profondo preme più il consenso della mamma che lo aspetta a casa, o soprattutto della ragazzina coi capelli rossi all’ultimo banco.

Ecco qui: Paz si esibiva, poi ironizzava su sé stesso, poi, ancora, si esaltava, e, appena finito il tempo della lezione, tornava alle sue malinconie incurabili – lo sapevi in Osteria, o dalle soffiate delle ragazze che, a turno, lo “accompagnavano a casa”.

Eppure la sua incapacità di lavorare sul suo “personaggio pubblico” si riduceva a dei motivi molto semplici. Facciamo un passo indietro.

Nell’autunno del 1983 Bologna fu invasa di cartelloni che pubblicizzavano questa nascente Scuola del Fumetto Zio Feininger. Alcuni manifesti riproducevano un grande disegno di Carpinteri, tuttavia la più parte – dovette far davvero colpo! – era un’illustrazione di Paz in cui due persone correvano per le strade (di Bologna?), dopo la pioggia. Di essi si vedevano solo i piedi, ma, a parte la prospettiva del marciapiede a scomparsa, Pazienza si era divertito a disegnare attorno alla pozzanghera tutta una serie di omini, e case, montagne, la pozzanghera stessa era un laghetto in questo paesaggio surreale, minuscolo ma caotico, molto alla Moebius, delizioso!

Così un giorno entrò in aula, e disegnò delle montagne che delimitavano un laghetto. Qualcuno, forse, fece subito il collegamento. Paz disse solo “se disegnate una pozzanghera…” essa è come un laghetto. Disegnata la pozzanghera. “Poi, se a sovrastare la pozzanghera vi è un palo della luce…”. Disegnò il palo della luce, ed il suo riflesso increspato nell’acqua. La gente taceva, lo guardava. “Poi se c’è un muro”, ed ecco che il muro (dove aveva notato “I° piano”) si riflette anch’esso nella pozzanghera. Poi sopra il muro scrisse INFINITO, poi sotto, ehm, MURO. Più sotto POZZANGHERA… Aveva detto tutto, ma volle rincarare la dose, la lezione era agli inizi. STAGNO, ACQUITRINO, LAGHETTO, PISCIATA, FOGNA, da collegare con un vettore a doppia freccia, a: POZZANGHERA. Poi STRISCIA DI TERRA, ISTMO, SPIAGGIA, questi collegati a MARCIAPIEDE.

Bene: ora avevamo uno schemino fatto di pozzanghere/laghetto, un muro, il marciapiede, e un sacco di parole in maiuscolo collegate da fumose freccine intersecantisi a confondere la classe. La quale classe sempre taceva. Pensava forse: abbiamo di fronte la rockstar Pazienza, e ci disegna un muro, delle freccine? Paz stette lunghi minuti in imbarazzo, fissando ora il “muro”, ora la classe. Il muro, la classe, il muro, il muro.

Poi accadde. Quello che avrei voluto spiegarvi a parole, e che ora racconto con immagini verbali. Fu il Paz cattivo bandoleros che ripensò alle bache secche ed a tutte le sue menate maliziose, che ci osservò con scherno, ed osservò il muro. Poi ecco la sua sfiga meridionale, e dall’immobilità assoluta, si rasserenò (si ridimensionò?), si girò di scatto, prese il cancellino e disse “vabbè - ”

Con la lavagna ripulita, ridisegnò la pozzanghera, in prospettiva, col punto di fuga verso destra. Poi il marciapiede. Anzi: “regaz, dovete inserire tutto in un contesto. Sul marciapiede vi è un omino con impermeabile e nasone. Capelli al vento. La sua sagoma si riflette frastagliata sulla pozzanghera”. Era Zanardi, ancora lui. “Al suo fianco un lampione, ricurvo. Poi ancora una pozzanghera, stavolta sul marciapiede. Ed un muro. Anzi, una parapetto. Meglio: di marmo. Potete sbizzarrirvi con le colonne, molte”. Disegnava, parlava e disegnava.

“Adesso il muretto/parapetto delimita un terrazzino a semi cerchio. Essì, perché siamo molto in alto, ed il terrazzino è un belvedere. Sotto… sotto si intravedono degli alberi, dei sempreverdi. Un pino. Un’olea fragrans. Un declivio. Sterpaglie. A destra ancora del verde, ma anche degli alberi spogli, di cui fanno capolino solo alcuni rami rinsecchiti. Ora scendiamo. Ci sono delle abitazioni. Delle fabbriche. Coi camini che fumano. Dei campi lavorati, appena arati. Vedete?”. Ormai il muretto era trasformato in un panorama abbastanza ampio…

“Ora una strada tortuosa, sterrata. E quasi parallelo un fiume. Che si allarga in un punto. Disegniamo un laghetto prodotto dal fiume, ed in mezzo al laghetto un isola, tre alberi, con tre cappelli di verde”.

Poi: “oltre il fiume ancora campi pieni di verde, ed infine il mare, uno spuntone di roccia che scende a picco tra le onde… sopra di esso un faro. Il fascio di luce del faro punta al mare, alle …”.

Barchette? Ora avevamo sulla lavagna un bellissimo panorama. Raccontato da una voce intima di memorie, di Gargano, di giornate di caccia, di serate tardo estive. Pazienza – forse solo il Maestro Raviola possedeva altrettanta potenza immaginifica – creava le sue opere per induzione, per viaggi mentali, per fantasie.

Ogni tanto si allontanava, osservava l’opera, ripeteva “vabbè”, e magari ritoccava appena. In alto, al posto delle barchette interrotte, scrisse PANORAMA, più a destra PUNTO DI VISTA, poi ECC…

La classe era altrettanto basita. Ma non per disappunto. Egli, pure “il maestro” (con la M) Pazienza aveva donato la sua procedura, il magico che metteva nelle sue tavole. Aggiunse, ormai sciolti i flussi di generosità e sincerità, “il panorama all’infinito, mare, costa, ecc..”

Non vi furono molti altri ecc. Nelle settimane seguenti, alleggerito, riempì molti cartoncini di Zanardi a colori, di Francesco Stella con ombre reali e ombre portate… ma quello fu davvero il primo giorno di scuola di Andrea Pazienza… e, forse l’ultimo: tutte quelle tavole estemporanee erano autografi, regali ai fans, ai molti fans che erano, e restarono, solo spettatori al Corso, per godere degli effetti speciali o per recuperare qualche souvenir in fumetto.

Paz tornò spesso alla sua malvagità recitata, a volte purtroppo sincera!

Ma si rilassò. Forse in quel giorno di lezione imprevista imparò ad essere un buon docente di fumetti, ed un tutore, un punto di riferimento, forse anche amico, per coloro che avevano deciso di seguire seriamente i suoi passi.

Conclusione

Ho telefonato ad Andrea Baldazzi per chiedere se si ricordasse di quel poster del “mondo in miniatura”. Avendo scartabellato tutti i vecchi appunti dello Zio Feininger, e le mie tavole dell’epoca – ed inevitabilmente quelle di tempi più recenti (sapete, ordine è una cosa per pochi eletti) -, mi ritrovo in una stanza temporaneamente inagibile, nella quale avrei dovuto anche sfogliare la fumettografia di Paz. Nossignore. Preferisco rivedere i miei panorami – precedenti la “pozzanghera all’infinito” -, o gli studi che feci su vignette delle stesso Paz (colorate, incerte, coi Pantone più sgargianti), e poi tutti gli schizzi, tanti ritratti dei Beatles, i cieli stellati acquarelli-e-tempere per storie americane, e Riki Andrews…

Non so perché, ma dopo tanto ricordare Paz ed il Corso, m’è venuta voglia di rivedere le mie cose, le mie evoluzioni, le migliaia di studi che, dimenticati, m’erano serviti per costruire un fumetto fatto e finito.

Di Pazienza, bho! forse ho voglia di sentir ancora parlare… ma se Baldazzi non è stato in grado di rintracciare il gran poster di cui dicevo, non importa! preferisco parlare di me stesso, dei miei sudori al tavolo da disegno, di ieri, di oggi, e naturalmente del domani. Magari anche a me ci volle un po’ di tempo, ma il mio primo giorno di scuola è già arrivato da tempo, vediamo gli altri come saranno?

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sembra che tra affermazioni esplicite e frecciatine si parli sempre di Pazienza come l'artista della 'robba'. Forse dovreste correggere un po' il tiro?

Abald ha detto...

concordo, sarà fatto.
CZ! Abald, quello dei doppisensi.
Sorry, comunque concordo. Grazie della visita.

@lberto ha detto...

più che di robba, in realtà io mi sento a disagio nel parlare di meridionalità con un po' di ironia di troppo... ma si sa, uno che si chiama Rapisarda ed è originario di Paternò CATANIA che può dire (se non bene) dei sudisti?

Anonimo ha detto...

be' non dicevo di questo contributo in particolare. Ad esempio si parla moltissimo di droga nel libro di Giubilati che viene citato (la "roba" è anche nel titolo)

Blanche ha detto...

io invece contino a fare la criticissima nel dire che Alberto si è incartato - speriamo che dopo l'obbligo di finire questo concetto del "Primo giorno di scuola" (interessante, ma romanzato) si torni ai ricordi spontanei

@lberto ha detto...

ciao TanTan sempre piacere sentirti dispensare complimenti. perchè non cominci il TUO blog, di modo che io possa fare il critico da te?