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giovedì, settembre 25, 2008

Gli inediti di Andrea Pazienza: "Hot Dogs" di Baldazzi e Rapisarda


Avrei voluto continuare il flusso dei ricordi iniziato in questo blog attraverso tutte le fasi che portarono Riki Andrews a divenire un happening alla scuola del fumetto Zio Feininger. I dettagli sono tuttavia tali e tanti, che abbisogno di una lunga chiacchierata con Baldazzi. Poi ne riparliamo.

Qui accenno solo a come Paz fosse “posseduto” mentre continuava a scrivere e riscrivere - tutti noi altri si mangiava, ad un’osteria del Pratello -, la sceneggiatura del PRIMO racconto lungo del Vostro Investigatore Preferito, riempiendola di gag, di colpi di scena, di disegnini esplicativi. Per Paz il fumetto era trance, “stomaco”, liberi ininterrompibili flussi di energia artistica.

Il testo che segue è invece tratto dal mio “The Riki Andrews Book”, una sorta di autoproduzione su cui lavorai nel 1992 supportato da Abald (il quale mi mandò un “listato” di ricordi assai interessanti - magari alcune di quelle rimembranze le passiamo immediatamente nei commenti).

BTW: avete notato, ehm, come lo stile di scrittura e l’oggetto del dissertare ricordino assai i testi introduttivi (più “accessibili”, rispetto alle mie cose) dei volumi dei Classici del Fumetto di Repubblica, con 12 anni d’anticipo?

Faccio infine presente che Riki ha un suo sito web (http://digilander.libero.it/riki_andrews/), una voce di Wikipedia (pure), ed una e-mail mailto:riki.andrewsNOSPAM@libero.it - si sa mai abbiate qualcosa da dirgli!

Shalom

Alberto Rapisarda

Castelfranco Veneto, sett. 2006


Certi personaggi creati dalla fantasia di un autore sembrano essersi condensati dall'aria che ci circonda. Michelangelo, nello scolpire, diceva di togliere semplicemente il marmo che imprigionava le figure dentro la roccia, un po’ come, aggiungiamo noi, si fa con gli animali fossilizzati. E infatti una creazione artistica, non solo quando è realistica o plausibile, a volte pure nell'eccesso, nel grottesco, nella comicità, nell'enfasi di alcuni caratteri, capita che possieda un tale senso di "necessità" da affiancarsi spontaneamente alla multiformità del reale. Ripercorrendo il corpus artistico di un autore si può attraverso mille piccoli elementi ricostruire la gestazione di personaggi che solo più avanti acquistano una fisionomia ben definita, un nome, una propria "serie", eccetera. Riki Andrews, come serial a fumetti di alta qualità, viene progettato nell'inverno del 1984 a Bologna da alcuni autori di un gruppo che sviluppava progetti diversi ed indipendenti, accomunati dall'interesse per le vaste (e spesso inesplorate) possibilità espressive del linguaggio del comic. Il riferimento era dichiaratamente Denny Colt, The Spirit, di Will Eisner (che è un'opera talmente ricca da contenere il seme di molte altre esperienze artistiche successive), ma poi Alan Ford, l'Uomo Ragno e super-colleghi vari, fino ai recenti Sinner, l'Investigatore Senza Nome. Ma Riki Andrews come personaggio aveva già una sua fisionomia. La singolarità dell'origine di un serial tutto sommato "di genere" sta proprio nel fatto che il suo protagonista aveva una certa "esperienza" come progetto personale di uno dei suoi autori che lo aveva svezzato in una dimensione narrativa molto pop, filtrando il genere poliziesco attraverso le conquiste linguistiche degli autori di Frigidaire, di Alter Alter (1980 e dintorni). La frammentarietà di queste prime vicende di Riki Andrews impedisce di cogliere un senso di continuità non solo tra gli episodi numerati progressivamente, ma spesso addirittura tra le vignette di una stessa pagina. Persino il logo, Riki Andrews, sarà introdotto in un secondo momento. Gli elementi linguistici sono assemblati in parallelo, come in un mixaggio musicale, e mantengono, attraverso accorgimenti di montaggio, una chiarezza individuale indipendente dall'incalzare del ritmo narrativo. Il primo Riki Andrews è un agente segreto statunitense che agisce in ambienti onirici assai simili alla città del suo ideatore, Bologna appunto. Il suo aspetto, piu legato ai personaggi interpretati da Bogart che al collega James Bond, all'inizio lo rende persino un po’ inquietante. In realtà cio che fa e che dice non lascia dubbi sull'indole positiva di Riki Andrews. E ci fa capire perchè per Riki andarsene dal servizio segreto statunitense doveva diventare inevitabile. Ma questa è un'altra storia di Riki Andrews.


Prologo.

[…]

La vita di Riki Andrews non è linearmente ricostruibile proprio per i motivi suddetti. E nemmeno qui tenteremo di farlo. Accomuniamo il personaggio al destino dei vari Superman, dai molti futuri e dai moltissimi passati, dei Zio Paperone, ed a ritroso fino ad Orlando, Ercole, o lo stesso Odisseo, che vanta diverse vecchiaie a continenti di distanza. La tipologia del personaggio è tuttavia legata ad alcune vicende: prima una sofferta militanza nei servizi segreti a Stelle e Strisce, poi un'attività di investigatore privato legata agli stereotipi della letteratura di genere. A differenza però di alcuni suoi predecessori, non è un personaggio ambivalente, anche se non privo di sfumature. Riki Andrews prima che partigiano della legalità o della Giustizia è soprattutto un "buono". In lui le capacità professionali e le qualità umane convivono senza identificarsi. Ciò che fa, pur se complicato da una certa incoscienza, è ispirato da un'istintiva predisposizione al bene.


Il legame con il genere poliziesco, pur se in un ottica tutta particolare, è però determinante. Nel progetto del serial a colori, attraversando i naturali processi perfettivi, gli autori hanno sempre pensato a questo legame come ad un faro. Inoltre il rapporto, al quale faremo riferimento anche più avanti, che si è desiderato stabilire in più casi con l'opera fumettistica di Will Eisner indica precisamente un tipo (molto speciale, anche per i risultati eccellenti del serial The Spirit) di "crime story". Nelle carriere degli artisti, siano scrittori, registi o altro, il confronto con il "genere" è inevitabile, o per antica passione, o per occasioni che semplicemente si incontrano. Negli Stati Uniti si considera indice di professionalità saper offrire un'interpretazione originale del "genere". Noi europei poi, molto intelligentemente, utilizziamo ormai queste definizioni solo per comodità di comprensione (in enciclopedie o in data-base), o per riferirci a qualche opera classica (i capolavori western, il più perfetto giallo della letteratura, ecc...). Qui il genere diviene gradualmente il canovaccio dove il registro linguistico spazia liberamente. Non si tratta di ridefinire o parodiare un genere. Semmai di utilizzare un riferimento dove confluiscano differenti influenze artistiche.


Evidentemente vi troviamo certo cinema statunitense anni sessanta, la cosiddetta "nuova Hollywood", con riferimenti espliciti a Schlesinger (tra l'altro di origine inglese, in precedenza esponente del "free cinema"), a Coppola, con un ambiente ripreso da The Rain People (Non torno a casa stasera). Poi c'è l'America serializzata dei telefilm e dei comic book, quando veicolano sia semplicemente un vasto repertorio iconografico sia la genialità di stili che diventano innovazione linguistica (si pensi a Kirby, o Steranko, quest'ultimo citato esplicitamente in una vignetta di Riki Andrews). E ancora, per fare solo alcuni esempi, il dinamismo dei personaggi comici disegnati dai cosiddetti "Disney italiani", i paesaggi staticizzati degli impressionisti più lirici, la ricercatezza grafica dell'illustrazione naturalista inglese, dove è figlia degli stessi preraffaelliti, o la citazione velenosamente critica (in un rapporto di odio/amore, però) degli arredamenti idealizzati della rivista AD (un ambiente è nientemeno che l'ex-studio di Ronald "The President" Reagan alla Casa Bianca, sulla cui scrivania tra l'altro si trovavano, non riprodotte nel fumetto, addirittura delle enormi corna di bufalo, non sappiamo se abbattuto personalmente dal politico cow-boy). E ovviamente le atmosfere dei Chandler, dei Bogart, insomma dei Riki Andrews.


Attraverso queste molteplici chiavi di lettura il commento che segue approfondisce le fasi della lavorazione di alcune pagine scelte dei fumetti, accanto ad un commento critico più generale. Sarà comunque soprattutto il tema del "work in progress" a diventare il tema dominante, nella singolarità dei procedimenti utilizzati e dei loro campi di applicazione.


Logo.

[…]

Hot Dogs è un racconto che ha sviluppato gradualmente una dimensione blueseggiante, che ha compenetrato quella che in origine doveva essere concitatissima e volutamente demenziale. Lo stesso Riki Andrews è un omino dall'anima molto "bues", solo ed idealista. Un ex agente segreto, come ci ricorderà anche una storia successiva, perchè insofferente le gerarchie e l'azione corale, (anche se nell'ambiente è legato a molteplici amicizie di vecchia data). Gli autentici comprimari di Riki sono gli scorci di New York, i fast-food anni settanta, le infinite free-way, le rive dell'Hudson. In questa dimensione un po’ fredda, ma suggestiva, a volte anche poetica, dove i suoi stati d'animo empatizzano con gli elementi atmosferici, con i giochi di luce e con i colori che mutano, Riki si abbandona al proprio istinto, a volte persino ad una certa scelleratezza che lo adegua se non altro all'oligofrenia dei suoi strani antagonisti.


[…]

Long Island è la spiaggia dei newyorkesi. Qui, allontanandosi progressivamente dal centro urbano, il paesaggio è sempre più caratterizzato da vasti prati deserti interrotti saltuariamente da suntuose ville. Nella zona di confine Riki abita in una condizione abbastanza atipica, ospite in uno yacht. Conclusa drasticamente la sua precedente esperienza lavorativa nei servizi segreti (sul passato di Riki Andrews si farà cenno anche successivamente, anche se qui narrativamente l'importanza che ha è secondaria), in Hot Dogs il nostro è alla ricerca del classico ufficio alla Marlowe (nel quale lo vedremo in tutti i successivi episodi) ed è in qualche modo un "homeless". Tutta la seconda pagina introduce questa situazione e ritarda l'inizio dell'azione vera e propria. Nelle prime pagine vengono utilizzate parecchie informazioni in maniera reiterata, dando l'impressione che alcuni elementi siano superflui. Tra l'altro quella che ha più i caratteri della classica "prima apparizione" del personaggio (in relazione all'autonomia tematica che ha generalmente una graphic novel) è evidentemente la sequenza di pagina 4 ("Mr. Richard Andrews ?"). Mentre quella di pagina due è concepita piuttosto in parte come una sigletta esplicativa (simile a quelle dei telefilm statunitensi) e in parte come un riassunto della conclusione di un episodio precedente. L'ambientazione tra l'altro è basata proprio su del materiale documentario tratto da un telefilm(-accio) statunitense.


Il primo dialogo cui partecipa Riki, assai surreale (date le premesse), avviene sotto un cielo presago di pioggie, però schiarirà. Alle ultime luci della giornata Riki è già in piena attività nei pressi dello Shea Stadium, abbastanza periferico per offrirci lo sfondo di una vasta vegetazione. La prima controffensiva di Riki, a pagina 8, è addirittura la confezione ed il lancio di una bomba molotov. Dopo aver centrato il bersaglio, il nostro attende che i suoi aggressori escano a gambe levate. Quando Riki dice di non aver mai usato le fiale detonanti (che però tiene nel cruscotto della macchina) si comprende che non deve avere la dimensione delle conseguenze di un'esplosione. L'incoscienza di Riki è evidentemente non solo caratteriale, ma eredità del proprio passato professionale.


La sequenza dell'esplosione ha richiesto molte prove e riflessioni prima della versione definitiva. Si desiderava ottenere una fluidità nel succedersi degli avvenimenti, in un rapporto continuo di causa-effetto (x spara -> y risponde -> x scappa, ecc...). Alcune delle prime prove a colori della vignetta dell'esplosione mostrano una contro zoomata che dal piano americano giunge al campo-panoramica dall'alto, nel tentativo di operare un "allontanamento" dall'effetto drammatico dell'esplosione stessa. Ci fu uno scambio di idee su questa sequenza con Lorenzo Mattotti che allora stava completando il racconto Fuochi per la rivista Alter Alter, che si conclude proprio con lo scoppio della corazzata in cui si svolge tutta la vicenda. Ad esempio vi fu identità di vedute riguardo al fatto che dal punto di vista linguistico l'immagine esplicita dello scoppio rende superflua l'onomatopea. Ma se per Mattotti l'effetto distruttivo dell'esplosione doveva essere l'elemento liberatorio conclusivo di un sogno visionario, in Hot Dogs l'effetto dirompente della molotov è quasi casuale rispetto a ciò che Riki desidera ottenere. Altre vignette di prova vedevano un semplice sipario (lo stesso Riki Andrews in piano americano e parte del bosco) frapporsi all'esplosione occupante lo spazio rimanente. L'aggiunta ex-novo in un secondo momento della vignetta 4, un gufo in primo piano, introduce un elemento di sospensione rispetto alla sequenza logica dell'esplosione, e stabilisce anche un eterogeneità tematica nei soggetti del gruppo di vignette di pagina 9 (capanna-molotov-Riki-gufo-esplosione) che richiama la frammentarietà di una concitata esperienza sensoriale. L'esplosione rimane sola protagonista della vignetta che conclude la pagina. Infine vengono introdotti tre piani differenti sovrapposti (gli arbusti in primo piano, il prato in favore di luce, il profilo di un pendio coperto di rovi) che offrono un molteplice effetto: in primo luogo, di "allontanare" l'esplosione senza diventare elementi significativi, secondariamente di suggerire che i piani continuino ad alternarsi dal pendio al luogo dell'esplosione senza per questo quantificarli, e infine, grazie all'inclinazione del pendio, di condurre l'occhio del lettore lungo un percorso definito (cioè verso l'esplosione).


A pagina 12 invece ad esplodere sarà addirittura l'abitazione galleggiante di Riki, in conseguenza di una bomba a mano lanciata da un membro della banda non meglio identificata a cui Riki sembra aver pestato i piedi. A sottolineare l'inversione di prospettiva vi sarà proprio un elemento linguistico: il fragore dell'esplosione è espresso dall'onomatopea, in assenza dell'immagine relativa. Per altri motivi ciò che risalta in maniera interessante proprio a pagina 12 è l'utilizzo di inquadrature identiche ad alcune precedenti con effetti cromatici differenti. La prima vignetta è evidentemente la quinta di pagina 5, mentre la quinta è la quarta sempre a pagina 5. Il riferimento a questa tecnica (utilizzata abbastanza frequentemente nei fumetti, particolarmente per identificare un ambiente già familiare, come ad esempio il deposito di Paperone), ci permette di introdurre quella simile ma più complessa dell'assemblaggio, cioè dell'utilizzo di diversi elementi scenografici eterogenei per ottenerne uno solo coerentemente originale, utilizzata nella scena seguente.


Nel fumetto, a differenza ad esempio di ciò che avviene nel cinema, non si può utilizzare un riferimento scenografico concreto (un certo edificio esistente od un set creato ad hoc), o se lo si fa, attraverso un repertorio fotografico, comunque si attua una conversione in un linguaggio specifico che generalmente fonda la propria coerenza nella funzione narrativa che questi elementi scenografici assumono rispetto alla storia .

Ciò significa che nell'eventualità in cui l'autore fosse in grado di assoggettare le esigenze della vicenda narrata ad un ristretto repertorio documentario, siamo comunque in un caso particolare che è parte di una casistica più vasta. Seppur infatti le scelte che questi può attuare sceneggiando un soggetto sono pressoché inquantificabili, è vero che man mano si procede col lavoro si definiscono una serie di proposizioni logiche all'interno delle quali modificare un elemento cardine può voler dire non solo pregiudicare la comprensione del racconto, ma anche confondere i risultati delle scelte estetiche degli autori stessi.


Non trascuriamo di considerare, facendo qui una breve divagazione, che il lavoro d'equipe, senza costringere a rinunciare alla sperimentazione linguistica, richiede una fase di "fondamento" dell'opera (attorno a scelte estetiche, a convenzioni linguistiche, a metodi di lavorazione, eccetera) che, con tutti suoi pro e contro, differenzia questo tipo di prodotto da quello dell'autore completo a cui siamo forse più abituati a pensare. Tra parentesi diremo che il fumetto rimane una delle poche forme d'arte dove è diffusa ed apprezzata la capacità di un autore di sviluppare in totale autonomia un prodotto artistico anche dove convenzionalmente interverrebbero diverse figure professionali (nel fumetto si parla di sceneggiatore, di letterist, di inchiostratore, eccetera, ma può avvenire nella musica mediante sovraincisioni, nell'animazione, in alcuni casi anche nel cinema). I migliori autori ci offrono un'intensa immagine del proprio mondo intimo. Il lavoro d'equipe è finalizzato principalmente ad ottenere un risultato particolarmente complesso e sofisticato, difficilmente accessibile al singolo autore (si pensi agli effetti speciali nel cinema e nell'animazione), benché molto spesso si tratti dello sviluppo di idee di un unico artista coordinatore. In Riki Andrews i risultati ottenuti sono certo estremamente sofisticati, ma, come si è detto, le collaborazioni hanno più la dimensione estemporanea di "session", anche se metodo di lavoro in equipe non è stato meno tradizionale di quello che vige in ambienti più "istituzionalizzati" (come, poniamo, la casa Bonelli di Tex Willer e Dylan Dog).


Una lunga sequenza, che si dipana da pagina 13 a pagina 19, con l'esclusione di poche vignette, si svolge totalmente in una lussuosa villa stile inglese della periferia sud di New York. Era necessario definire perfettamente le caratteristiche di un ambiente all'interno del quale sviluppare alcune sequenze determinanti per l'ulteriore intricarsi, la drammatizzazione, ed infine la graduale chiarificazione delle dinamiche della storia (infatti nel dialogo che si svolge all'interno della villa si comincia a dipanare l'intrigo attorno al quale ruota il giallo di cui si ha la soluzione solo nelle ultime pagine del racconto, dato che all'uscita della villa inizia un classico inseguimento ricco di colpi di scena). La villa (si saprà solo alla fine chi vi abita), è indiscutibilmente di proprietari facoltosi (Riki Andrews all'udire l'indirizzo datogli dall'amico poliziotto, commenta che si trova nei "quartieri alti"), proprio il tipo di abitazione nella quale Raymond Chandler avrebbe ambientato contraddittoriamente un ambiguo dramma. Lo stesso Eisner (il quale sostiene spesso che dietro ad una grande fortuna c'è un delitto) privilegiando nella scelta delle immagini un atmosfera inquietante, ci conduce più volte in questi moderni manieri. In Riki Andrews la contrapposizione che c'è tra la decadenza delle strade della metropoli e la sontuosità della villa non è solo denuncia di disparità sociale (lo stesso Riki, nella fondamentale indifferenza che nutre per simili ambienti, si autodefinirebbe probabilmente di classe economica "medio/bassa"). C'è negli autori anche un interesse estetico per quelle abitazioni dove, nell'ideale prosecuzione della cultura micenea del palazzo attraverso le corti del medioevo europeo, si realizza uno spazio in cui vivere in stretto rapporto estetico con l'estrema ricercatezza degli elementi dell'architettura, dell'arredamento, della floricoltura, di ogni piccolo particolare. Questa prospettiva è stata enfatizzata al punto che troviamo per fare un esempio, dagli scorci della Giverny di Monet (l'interesse per la cura del giardino portava ad esempio già nell'ottocento ad introdurre piante ed elementi esotici tra la vegetazione di tipo europeo) agli arredamenti, come si è già detto, della Casa Bianca durante l'amministrazione Reagan.

Fondamentalmente gli esterni della casa sono riferiti ad una villa realmente esistente nei dintorni di New York riprodotta molto similmente nella vignetta 3 di pagina 14. Ad essa, una "estate" (come gli americani chiamano le ville con annessa campagna) che architettonicamente richiama lo stile delle "farm" inglesi (qui però alcuni interni sono molto meno raffinati di quanto si potrebbe supporre, nell'intenzione di mantenere un certo stile fattoria), nel fumetto sono stati commisti molti elementi di stili differenti, dalla pomposità di certe case coloniali del sud degli Stati Uniti alla pretenziosità dei parchi inglesi. L'ambiente che corrispondesse fedelmente alle intenzioni degli autori doveva, oltre a non equivalere a nessuno dei modelli succitati, possedere anche la coerenza che oltre a renderlo credibile permettesse di muovere agevolmente i propri personaggi al suo interno. Si lavorò su un modello geometrico semplice che definiva la pianta del giardino in rapporto all'ingresso (vignetta 1 di pagina 13 e vignetta 3 di pagina 16) e all'ubicazione dell'edificio stesso (quest'ultimo ad esempio ha una pianta a pi greca, resa complessa da una serie di elementi architettonici dove le pareti esterne sono frammentate da degli sporadici rientri di poche decine di centimetri). Ciò ha permesso non solo di proporre alcuni scorci in prospettive differenti, ma ha dato l'idea per un’inquadratura dall'alto della villa in una spettacolare prospettiva accidentale. In uno dei punti di fuga convergono le linee verticali (le altezze) del complesso architettonico, definendo pertanto la linea teorica dell'orizzonte al di sotto dell'immagine stessa.

Questa assemblaggio viene utilizzato a livelli differenti anche per gli interni della villa, o per le sequenze del drive-in fino a quelle finali del fienile. E' interessante percorrere in senso inverso le "contaminatio" che intervengono in varie fasi del lavoro, anche perchè offrono una differente chiave di lettura del prodotto. Senza entrare troppo nel dettaglio (si finirebbe col redigere una statistica), è interessante accennare a come gli stessi personaggi richiamino, per aspetti differenti, dei loro colleghi del mondo dei comics, o delle persone esistenti più o meno note.

[…]

Il racconto breve in bianco e nero è una nuova dimensione assai consona a Riki Andrews, ed aumenta i canali espressivi dei suoi autori. In quest'ultimo formato Riki inaugura l'agenzia investigativa Il Tuo Occhio Privato (Your Private Eye), mentre alcuni sviluppi sulla sua vita sentimentale ci vengono dispensati addirittura attraverso l'originario formato a singola pagina, fino a quel momento riservato ad un mood più onirico (quest'ultimo genere, vista l'autonomia narrativa che può vantare, non sarà in realtà mai abbandonato).

Gli orrizzonti di Riki Andrews espandendosi perdono in chiarezza. Riki con nonchalance se ne fa un merito. Alcuni racconti "underground" (uno è la trama originale della seconda graphic novel) lo ripropongono inquietante in un faccia a faccia con la criminalità politicizzata. La rielaborazione animata di alcuni fumetti tramite effetti di camera e digitalizzazione, lo sincronizzano con Bacharach, o con la musica "tecno" più estremista. Altre singolari illustrazioni lo reinventano in variazioni della solida ironia delle origini. Probabilmente finirà col perdere l'innocenza originaria, rigenerandola nel rigore morale.

O chi lo sa.

EpiLogo.



lunedì, maggio 29, 2006

Jori: quel cielo così bianco

Marcello Jori era, tra i docenti della scuola "Zio Feininger", quello che poteva vantare una preparazione accademica completa, oltre a quel certo pysique du rôle - Andrea Pazienza a Lucca Comics (1984) continuava a ripetere "hai visto come è bello?" - dell'artista a tutto tondo.
Molto apprezzata fu una sua certa lezione, dove - come detto si parlava di tecniche di colorazione - ci fece capire quanto il cartoonist Mordillo avesse attinto a piene mani dal gusto e dalla sensibilità nell'approccio cromatico del grande Jean-Michel Folon - il quale a sua volta si ispirava a certe cose di Paul Klee, quando andava "in Marocco a risciaquare i panni della pittura moderna".
Nel suo lavoro di fumettista Jori invece adorava tecniche che aveva elaborato per proprio conto, forse memore degli insegnamenti scolastici, e questo creava in lui un dualismo tra la generosità dell'insegnante che non si sottraeva alla divulgazione dei risultati della sua ricerca - disse che si recava a Milano, in un negozietto altamente specializzato, dove trovava mitici colori ad acqua, i concentratissimi Dr. Ph. Martin's, che versava col contagocce - a corredo - su ampie campiture completamente bagnate, ed otteneva le sfumature facendo ruotare su più angolazioni i fogli da disegno - e di contro una comprensibile reticenza sulll'approccio definitivo che aveva con disegni ed ispirazione per i fumetti che pubblicava su Alter Alter e Frigidaire.
Assai realistici - dopo il periodo quasi astratto, ancora una volta dichiarata la provenienza dai lavori di Paul Klee, del poetico Minus - i racconti che consegnava per le pagine di Valvoline Motor Comics erano una successione di fotografie, o meglio fotogrammi di film famosi, con qualche occasionale divagazione accessoria - ma il nocciolo era li: "La sposa di Frankenstein", "Gilda", e molto altro.
Con questo processo intellettuale di citazioni su citazioni, cosa rodeva a Jori e sfuggiva a noi? Qualcuno disse che, a casa di Marcello - fatto che divenne una leggenda di cui s'è persa la fonte - aveva intravisto dalla porta socchiusa del suo studio un enorme episcopio, col quale proiettava sul foglio, e colorava direttamente ad acquarello, il suo archivio di immagini - secondo necessità.
Sia come sia, chi più chi meno, quasi tutti fecero tesoro delle sue lezioni, compreso lo stesso Giorgio Carpinteri, e lo stesso Andrea Pazienza, che più avanti colorò un fumetto completo con le tecniche "alla Jori".
Marcello, stufo di certe polemiche, ed anche indissolubilmente legato al proprio background accademico di cui si diceva, riprese a fare il pittore-pittore, benedetto da Vittorio Sgarbi in un bel catalogo di moltissime pagine.
"Quel cielo così bianco" è una frase - ancora da "Pompeo" di Andrea Pazienza - utilizzata dal protagonista della graphic novel, mentre in piazza Verdi a Bologna alza lo sguardo verso l'appartamento dove appunto Jori viveva in quel 1984.

lunedì, maggio 22, 2006

Andrea Pazienza in gita scolastica


Al finir dell'anno scolastico 1984, come ogni brava classe che ha meritato gli elogi degli insegnanti, Andrea Pazienza propose una 'tre giorni' in quel di Santa Cristina di Gubbio (PG).

In realtà la cosa nacque per altri percorsi. Era consuetudine alla fine delle lezioni trasferirsi in qualche osteria di via del Pratello, dove ci si scopriva molto uniti e gioviali.
Ciò portò Pazienza a concludere che eravamo una cosiddetta compagnia, cosa che lo eccitava, perchè: "io non sto in nessuna compagnia, volete essere la mia?", - si illuminò un dì.
Detto fatto, Paz uscì con questa proposta grandiosa: andare a trovare l'amico di matita Jacopo Fo (che sul Male si firmava Giovanni Karen), il quale ci avrebbe ospitati in massa in quella grande ed accogliente struttura che forse molti conoscono come "Libera Università di Alcatraz" (oggi si chiamerebbe 'agriturismo', allora era una specie di comune).
L'adesione non fu oceanica. Nondimeno in una calda mattina di giugno ci trovammo fuori dalle scuole, da dove partì un plotone di macchine, a capo l'Alfa 33 targata FG (sole donne, a parte il proprietario di garganiche origini), poi la Golf nera con Baldaz e Rapi ai posti davanti, e via dicendo.
Le indicazioni stradali dell'insegnante Pazienza erano state chiarissime: "avete presente quel triangolo formato da Gubbio, Perugia e Assisi, dove non c'é nessun paese? Noi andremo lì: in mezzo al niente!". In realtà, per non perderci, proseguimmo incolonnati attraverso posti ameni (la famosa strada panoramica Cesena-Terni), altri curiosi (Casa del Diavolo), finché si ebbe conferma che davvero eravamo diretti in un posto alieno dalla civiltà, una strada che diventava prima sterrata, poi infinita, senza sbocchi.

La permanenza fu squisita come il nostro ospite: le ragazze si mettevano in libertà, il risico e la battaglia navale la facevano da padroni, si trasmisero molte videocassette di lezioni passate ove, anziche parlar di comics, si celebrava la via della Katana (anche "Alcatraz" era una scuola del fumetto - estiva - in cui insegnava Pazienza) ... poi quantità sterminate di carne alla brace, canne a volontà, grandi gite al torrente a pescare la trota salmonata (eccerto, le canne servivano per la pesca, no?).

Molti disegnarono, fecero foto, riprese di lotte di Kendo, così vario materiale documentario rimase.
Per episodi più dettagliati, si lascia spazio ai commenti ed a prossimi post.
La foto invece, di autore ignoto, merita un veloce chi è chi: dall'alto si distinguono Jacopo, Paz, Miriam, Lucia, Abald, Giorgio, Simona, Francesca, Simona, Giovanna e moroso.
Ovvio che, come disse qualcuno, va un grazie a chi indica i nomi dimenticati, o precisa quanto scritto più in alto. Il resto degli errori sono nostri.

martedì, maggio 16, 2006

Magnus: un uomo non ancora pazzo per il fumetto

Nel 1986 il mitico Magnus si arrese agli inviti dell'organizzazione della Scuola, e venne a dispensare la sua Arte. Era una bellissima serata di maggio, fuori ancora chiaro, i treni passavano a raffica incuranti del disturbo recato al Viandante (e gli uccellini cinguettavano, ecc).
Col suo carisma alla Al Pacino/Michael Corleone (anche Magnus usava un fracco di brillantina), si sedette in cattedra, mentre ognuno si domandava: di cosa avrebbe parlato?
Be' sapete? nessuna filippica da artistoide, né improbabili metodi per generare idee.
Prese un libro di racconti cinesi, ne scelse uno a caso, e lo sceneggiò live on stage.
In circa mezz'ora riempì 6 fogli Bristol 35x50, con quelle veloci geometrie che si usano a livello di storyboard.
Soddisfatto, ripassò i disegni in modo da includere il testo e definire un po' le figure.
Ma ciò che colpiva fu un "panel" verticale su due strisce (prima e terza vignetta incolonnate, su pagina di sei vignette, per capirsi) con la veduta in prospettiva accidentale - dal basso - di una scalinata di pietroni, con (ulteriore virtuosismo) angolo tra due rampe.
Alla fine della performance - che fu, lo ribadisco, una vera lezione pratica su come tradurre un breve racconto ---> in fumetto - chiese con studiata timidezza se qualcuno voleva conservare le tavole in ricordo della lezione.
Si fece avanti un "tizio'' che assicurò cura e dedizione nella conservazione del tesoro raviolesco.
Quella storia inedita di Magnus è, credo, ancora a casa del nostro ex-compagno, ma mai rivelerei nomecognome, solo sotto tortura.

domenica, maggio 14, 2006

Memento

Un nome che non si trova nella lista è quello del caro e indimenticabile Ateo Cardelli.
Gigante buono delle zone imolesi, quando si iscrisse alla scuola, nel 1983, stava frequentando il DAMS, dove si sarebbe laureato con una tesi su Ken Parker. Tra le sue passioni c'erano però soprattutto le arti marziali, che praticava da professionista (era solito dire "non saprei far male ad una mosca"), e le donne che sceglieva più come mamme putative - loro pare che apprezzassero la sua tenerezza ed anche una focosità che manifestava a tratti.
Nelle sua vita Ateo commesse qualche (grande?) sbaglio, e, come i penitenti di certi romanzi cinesi, preferì abbandonare il mondo del chiasso per dedicarsi al figlio e all'assistenza dei ragazzi disabili. Uno di quest'ultimi, in un raptus, gli conficcò una lama nel petto. Suo malgrado Ateo ebbe le cronache dei necrologi.
Meglio ricordarlo con grande sorriso rassicurante, mentre mostrava la sua enorme collezione di fumetti e di saggi sul cinema, e se gli chiedevi quando avrebbe scritto ancora per una rivista per cui lavorava, scuoteva il capo e ti diceva: "ora devo far visita a mamma, è anziana ... per il fumetto ci penso, ma non aspettatemi".

giovedì, maggio 11, 2006

Se Solamente Tu Potessi Ricordare il Mio Nome

Andrea Baldazzi * Roberto Carubbi * Enrico Fornaroli * Giorgio Franzaroli * Francesca Ghermandi * Ottavio Gibertini * Leila Marzocchi * Roberto Marchionni * Alberto Rapisarda * Fabio Randazzo * Stefano Ricci * Mario Rivelli * Massimo Semerano * Simona Stanzani * Davide Toffolo * Daniele Trombetti * Sauro Turroni ...

lunedì, maggio 08, 2006

It was twenty (three) years ago

"La Scuola di Fumetto e Arti Grafiche Zio Feininger" fu fondata nel 1983 da un gruppo di cartoonist appartenenti alla cosiddetta "scuola bolognese". In collaborazione con l'A.R.C.I. locale, Andrea Pazienza, Marcello Jori, Lorenzo Mattotti, Igort, Giorgio Carpinteri e Daniele Brolli formano la prima squadra di insegnanti che terrà le lezioni presso l'Istituto Aldini Valeriani di Bologna.

Adeguatamente promosso e pubblicizzato anche a mezzo stampa, il Corso di Fumetto raccoglie oltre cento adesioni. I corsisti sono divisi in tre classi, ognuna delle quali segue giornalmente le lezioni di due degli insegnanti, per tre giorni la settimana. Lorenzo Mattotti si occupa di regia e struttura della tavola, Jori delle tecniche di colorazione, Carpinteri di disegno applicato, Igort di multimedialità, Brolli di sceneggiatura, ed Andrea Pazienza di generica (o omincomprensiva?) narrazione a fumetti.

La prima infornata di lezioni è coraggiosa e ricca di esperimenti didattici. Tra novembre 1983 e maggio 1984, gli autori-docenti danno di tutto e di più, al fine di stimolare l'intelletto degli aspiranti fumettisti. Gli allievi hanno età e preparazione assai eterogenea: alcuni già professionisti dell'illustrazione o di arti attigue - desiderosi di perfezionarsi nel fumetto -, altri appena quindi-sedicenni con la mente apertissima all'esperienza collettiva. Ma la maggior parte è composta da neo-diplomati soprattutto liceali, che intraprendono i corsi come scuola parauniversitaria: essi si preparano adeguatamente ad inserirsi nel settore editoriale, già fanno fruttare le lezioni come avviamento al lavoro a tutti gli effetti.

Il primo anno di lezioni rende anche consueta la pratica di ospitare altri autori noti e competenti. Alcuni di essi negli anni successivi condurranno veri e propri stage, paralleli ai corsi canonici. Si ricordano Silvio Cadelo, Massimo Giacon, Nicola Corona, Antonio Faeti, Magnus.

L'anno successivo (1984-1985) è a numero chiuso: davvero Corso di Formazione Professionale approvato e finanziato dalla Regione Emilia Romagna, instaura una prassi di collaborazione con gli Enti Pubblici - che dà ottimi frutti. Lorenzo Miglioli sostituisce Pazienza (che ha abbandonato Bologna per una vita in campagna), e il resto dei docenti - invariato - s'impegna a creare opportunità, affinché questo primo nucleo di autori metta in pratica le abilità acquisite: mostre collettive, pubblicazione su riviste di fumetti già avviate o create ex-novo, stutture collettive dove disegnare, scrivere, incontrarsi.
Alla fine del secondo anno molti allievi hanno già pubblicato, e la scuola si prende una pausa di riflessione, a cui alterna comunque ottimi stage, come quello condotto dal citato Magnus, Maestro del fumetto di tutti i tempi.
Nel frattempo la Scuola si costituisce in circolo culturale, si stabilisce un rapporto di reciproca collaborazione col Comune di Bologna, e attraverso il tenace impegno del solo Igort (Brolli, Iori, Miglioli ancora collaborano saltuariamente), e l'affiancamento organizzativo del dinamico ex-allievo Enrico Fornaroli, sarà condotto qualche altro anno di corsi regolari. Poi il gruppo Feininger - ormai a tutti gli effetti squadra di disegnatori, soggettisti, coloristi, letterist - muta le attività scolastiche in altre forme di impegno.

ELENCO SPARSO DI CARTOONIST DAI PRIMI DUE ANNI
Andrea Baldazzi, Roberto Carubbi, Enrico Fornaroli, Giorgio Franzaroli, Francesca Ghermandi, Leila Marzocchi, Alberto Rapisarda, Massimo Semerano, Simona Stanzani, Daniele Trombetti, Sauro Turroni.

(altri nomi e altre annate in preparazione ;)